I parametri UTM sono piccoli frammenti di testo che si aggiungono all’URL per capire da dove arriva un visitatore e cosa ha fatto cliccare. Non cambiano la pagina di destinazione, ma arricchiscono i dati raccolti dagli strumenti di analisi, come Google Analytics. In pratica permettono di dare un nome e un cognome al traffico, distinguendo se è nato da una newsletter, da un post social o da una campagna ADV.
Perché contano davvero
Nel marketing digitale le intuizioni non bastano: serve misurare. Senza i parametri UTM si rischia di avere un mucchio di visite senza sapere da dove provengono. Con i tag giusti diventa chiaro se un investimento su Facebook porta più contatti di una DEM, o se una promozione via LinkedIn genera traffico qualificato. È come mettere un cartellino su ogni invito che distribuisci: alla fine della festa saprai chi ha portato più amici.
Applicazione in un progetto web
Quando una web agency come The Rope imposta una strategia digitale, i parametri UTM diventano parte integrante dei link usati nelle campagne. Che si tratti di banner, social ads o email marketing, ogni click viene tracciato con precisione. Questo consente al cliente di avere report chiari e confrontabili, evitando di affidarsi a sensazioni o a dati parziali. Anche nel redesign di un sito, sapere quali canali portano traffico di qualità aiuta a decidere dove concentrare gli sforzi.
Massimizzare l’uso dei parametri
Un’agenzia strutturata non si limita a inserire etichette a caso. Definisce regole condivise: nomi coerenti, maiuscole e minuscole gestite in modo uniforme, codici comprensibili al team e al cliente. Così i report non diventano un mosaico confuso di varianti, ma uno strumento leggibile che guida le scelte future. Usare UTM significa trasformare ogni campagna in un esperimento misurabile, con risultati chiari sul tavolo.
Errori da evitare
Il primo passo falso è improvvisare: se oggi scrivi “facebook”, domani “FB” e dopodomani “social”, il tracciamento si frammenta. Altro errore frequente è abusare dei parametri, inserendoli anche in link interni al sito: così i dati si sporcano e diventa difficile capire il percorso reale dell’utente. Infine, mai dimenticare di testare i link prima di pubblicarli: un refuso in un UTM può compromettere l’intera campagna.
Esempio veloce
Pensa a una campagna email che invita a scaricare un ebook. Il link alla landing page potrebbe essere arricchito con parametri UTM che indicano “utm_source=newsletter”, “utm_medium=email” e “utm_campaign=ebook_gennaio”. Quando l’utente clicca, l’agenzia potrà leggere nei report esattamente quanti download arrivano da quella newsletter e confrontarli con altre attività. È come avere un contachilometri dedicato per ogni canale di comunicazione.