Il CPM, acronimo di Costo per Mille, è il parametro che misura quanto costa mostrare un annuncio pubblicitario mille volte. Mille visualizzazioni, chiamate impression, non significano mille persone diverse raggiunte, ma mille volte in cui quel contenuto è comparso sullo schermo di qualcuno. È una delle metriche più longeve nel marketing e continua a essere centrale nel digitale perché permette di capire in modo semplice il rapporto tra spesa e visibilità.
Perché conta davvero
In un mondo dove l’attenzione dell’utente dura pochi secondi, sapere quanto costa ottenere mille opportunità di farsi vedere è cruciale. Il CPM è come il prezzo del biglietto per entrare in una piazza affollata: non ti garantisce che tutti ti ascoltino, ma ti assicura di esserci. Le aziende lo usano per confrontare piattaforme diverse, per capire se conviene investire su social network, siti editoriali o display advertising. Un CPM basso può sembrare allettante, ma se le impression non portano risultati concreti, rischia di diventare solo un numero vuoto.
Nell’ambito di un progetto web
Quando si costruisce una strategia digitale con una web agency, il CPM entra in gioco per pianificare la copertura delle campagne. Se ad esempio si lancia un nuovo e‑commerce di abbigliamento, sapere che con un budget di 500 euro si ottengono 100.000 impression a un CPM di 5 euro, aiuta a stimare quante persone potenzialmente vedranno il brand. Non dice ancora nulla sulle vendite, ma dà una misura della spinta iniziale di visibilità, come accendere un grande faro che illumina la vetrina.
Come una web agency può valorizzarlo
Un’agenzia digitale esperta non si limita a ridurre il CPM: lavora per far sì che quelle impression siano significative. Significa scegliere con attenzione i posizionamenti, segmentare il pubblico, evitare dispersioni e testare creatività che catturino davvero l’attenzione. Il valore sta nel bilanciare quantità e qualità. Un annuncio con CPM leggermente più alto, ma mostrato a un target preciso e interessato, può rendere molto di più rispetto a migliaia di impression a basso costo ma poco rilevanti.
Gli errori più comuni
Uno dei tranelli è considerare il CPM come unico indicatore di successo. Molti cadono nell’illusione che più impression equivalgano automaticamente a più risultati. In realtà, senza un’analisi delle conversioni, del tasso di clic o del ritorno sull’investimento, il CPM resta un dato monco. Un altro errore frequente è confrontare CPM di piattaforme molto diverse: il valore che ha su YouTube non è paragonabile a quello di una campagna display su un quotidiano online, perché cambiano contesto, formato e attenzione del pubblico.
Un esempio concreto
Pensa a una startup che vuole farsi conoscere con un lancio veloce. Decide di investire 1.000 euro su una campagna social con CPM medio di 10 euro. Questo significa 100.000 impression. Se da queste arrivano 2.000 clic al sito e 100 iscrizioni alla newsletter, il CPM ha fatto da base di calcolo per stimare la portata, ma il vero successo si misura nella catena di azioni successive. In questo senso, il CPM è il punto di partenza, non il traguardo.